Nel panorama del diritto penale economico, i reati fallimentari rappresentano una categoria di illeciti di particolare complessità, spesso intrecciati con questioni patrimoniali e finanziarie. La necessità di recuperare i proventi illeciti, sia per ripristinare la legalità sia per risarcire i creditori, rende le misure cautelari reali, come il sequestro preventivo e la confisca, strumenti di fondamentale importanza. Tuttavia, la loro applicazione deve sempre rispettare principi di legalità e proporzionalità, come ribadito dalla Corte di Cassazione con la sua recente pronuncia.
La sentenza n. 17718 del 30 aprile 2025 (depositata il 9 maggio 2025), emessa dalla Quinta Sezione Penale della Suprema Corte, offre un chiarimento essenziale sui limiti del sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta del profitto nel contesto della bancarotta fraudolenta. Questa decisione, che ha annullato con rinvio la pronuncia del Tribunale della Libertà di Firenze del 4 febbraio 2025 relativa all'imputato R. L., pone un freno a interpretazioni estensive che potrebbero snaturare la natura stessa della confisca diretta, trasformandola impropriamente in una confisca per equivalente.
Il fulcro della pronuncia della Cassazione risiede nella rigorosa definizione del "profitto del reato" e nella sua relazione con le somme oggetto di sequestro. La confisca, disciplinata in via generale dall'articolo 240 del Codice Penale e specificamente dall'articolo 322 ter c.p. per la confisca per equivalente, mira a privare il reo dei vantaggi economici derivanti dall'attività criminosa. Tuttavia, non tutte le forme di confisca sono applicabili a tutti i reati.
Nel caso dei reati fallimentari, la giurisprudenza ha sempre mantenuto una distinzione netta. La sentenza in esame, con la sua massima, cristallizza un principio fondamentale che è cruciale per comprendere l'ambito di applicazione del sequestro preventivo.
In tema di reati fallimentari, il sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta del profitto del reato di bancarotta può riguardare solo somme di denaro per cui sia stato accertato un nesso di pertinenzialità rispetto al reato ovvero che costituiscono immediato reinvestimento o trasformazione di queste ultime e non già ogni somma reputata nella disponibilità dell'autore del fatto, altrimenti risolvendosi in un sequestro per equivalente, non consentito per il reato fallimentare.
Questo passaggio è di capitale importanza. La Corte, presieduta da M. G. R. A. e con relatore B. P., chiarisce che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta non può essere indiscriminato. Non è sufficiente che le somme siano genericamente nella disponibilità dell'autore del fatto (R. L. nel caso di specie) per giustificarne il sequestro. È invece indispensabile dimostrare un "nesso di pertinenzialità" diretto tra il denaro e il reato di bancarotta, oppure che tali somme siano il frutto di un immediato reinvestimento o trasformazione del profitto illecito originario. Questo esclude categoricamente la possibilità di ricorrere a un sequestro per equivalente per i reati fallimentari, come la bancarotta fraudolenta (disciplinata dall'articolo 216 della Legge Fallimentare e dall'articolo 223, comma 2, lettera 2, della stessa legge).
La confisca diretta (o per sproporzione, o per prevenzione) si concentra sui beni che sono intrinsecamente legati al reato: il profitto, il prodotto o il prezzo del crimine. La confisca per equivalente, invece, consente di aggredire beni del reo di valore corrispondente al profitto illecito quando i beni direttamente derivanti dal reato non sono più disponibili. Quest'ultima è tipicamente prevista per una serie specifica di reati (come quelli elencati nell'articolo 322 ter c.p.) e non per tutti.
La ragione di questa distinzione è profonda e attiene ai principi di legalità e tassatività delle misure penali. Consentire un sequestro per equivalente per reati fallimentari, per i quali non è espressamente previsto, significherebbe estendere analogicamente una misura restrittiva della proprietà, violando il principio di riserva di legge. La Cassazione, con la sua pronuncia, riafferma la necessità di un'applicazione rigorosa delle norme, evitando derive interpretative che possano pregiudicare i diritti patrimoniali senza una base normativa esplicita.
I riferimenti normativi citati, tra cui l'articolo 321 del Codice di Procedura Penale (che disciplina il sequestro preventivo), rafforzano l'idea che ogni misura cautelare debba essere giustificata da un preciso quadro legale e da un'attenta valutazione del nesso causale tra il bene e l'illecito.
La sentenza n. 17718/2025 della Corte di Cassazione rappresenta un punto fermo nella giurisprudenza sui reati fallimentari e sulla confisca. Essa non solo chiarisce i limiti applicativi del sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta, ma rafforza anche i principi fondamentali di legalità e proporzionalità che devono guidare l'azione giudiziaria. Per le imprese e gli imprenditori, questa decisione offre una maggiore certezza del diritto, delineando con precisione quali beni possono essere oggetto di misure cautelari in caso di contestazioni per bancarotta. Per gli operatori del diritto, costituisce un importante richiamo alla necessità di un'analisi rigorosa del nesso di pertinenzialità, evitando interpretazioni estensive che possano ledere i diritti fondamentali dei cittadini.