Nel complesso panorama del diritto penale, la questione dell'utilizzabilità delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari assume un'importanza capitale. La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 17164 del 30/01/2025 (depositata il 07/05/2025), ha fornito un chiarimento significativo, consolidando un orientamento giurisprudenziale volto a garantire la certezza del diritto e la corretta formazione della prova. Questa pronuncia, che ha visto come Presidente G. D. M. e come Estensore M. M. M., affronta un tema delicato: la sorte delle dichiarazioni rilasciate da un soggetto che, inizialmente ascoltato come persona informata sui fatti, assume in un secondo momento la veste di indagato o imputato.
La sentenza in esame si fonda su un pilastro del diritto processuale: il principio del "tempus regit actum" (il tempo regola l'atto). Questo brocardo latino significa che la validità e la disciplina giuridica di un atto sono determinate dalla legge vigente al momento del suo compimento. Nel contesto specifico delle dichiarazioni rese da una persona che poi cambia status, la Corte ha stabilito che ciò che conta è la qualifica del dichiarante al momento in cui le affermazioni sono state rese.
La Corte di Cassazione, infatti, ha rigettato il ricorso proposto contro la decisione della Corte d'Assise d'Appello di Napoli, ribadendo che le dichiarazioni sono legittimamente utilizzabili se, al momento della deposizione, il soggetto rivestiva ancora e soltanto lo "status" di persona informata sui fatti. Non rileva, in senso contrario, la circostanza che in un momento successivo tale soggetto abbia assunto la condizione di indagato o di imputato. Questo principio si ricollega strettamente al principio di conservazione degli atti, mirato a preservare l'efficacia degli atti processuali validamente compiuti.
Il cuore della decisione è racchiuso nella sua massima, che merita di essere analizzata con attenzione:
In virtù del principio di conservazione degli atti e della regola, ad esso connessa, del "tempus regit actum", sono legittimamente utilizzabili le dichiarazioni del soggetto che, al momento della deposizione, rivestiva ancora e soltanto lo "status" di persona informata sui fatti, non rilevando, in contrario, la circostanza che abbia successivamente assunto la condizione di indagato o di imputato. (Fattispecie relativa a testimone, già sentito a sommarie informazioni, denunciato successivamente per calunnia in relazione ai medesimi fatti).
Questa massima chiarisce un punto fondamentale: la valutazione dell'utilizzabilità delle dichiarazioni non è retroattiva. Se al momento dell'interrogatorio, ad esempio, la persona G. S. era considerata semplicemente una fonte di informazioni, le sue dichiarazioni sono valide, anche se in seguito è stato denunciato per calunnia (come nel caso specifico) o indagato per altri reati. Ciò significa che l'acquisizione della prova è cristallizzata al momento della sua formazione, rispettando le condizioni processuali allora esistenti. Tale interpretazione evita che il processo sia inficiato da eventi successivi, garantendo stabilità e prevedibilità. È cruciale distinguere questo caso dall'ipotesi in cui la persona avrebbe dovuto essere sentita fin da subito con le garanzie dell'indagato (art. 63 comma 2 c.p.p.), per la quale le dichiarazioni sarebbero state inutilizzabili.
La sentenza si inserisce in un quadro normativo e giurisprudenziale ben definito. I riferimenti normativi citati includono l'art. 351 c.p.p. (sommarie informazioni da persone informate sui fatti), l'art. 197 c.p.p. (incapacità a testimoniare) e, indirettamente, l'art. 63 c.p.p. (dichiarazioni indizianti). L'articolo 63, in particolare al comma 2, prevede l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi avrebbe dovuto essere sentito come indagato o imputato, ma è stato sentito come persona informata sui fatti. Tuttavia, la pronuncia in oggetto non contraddice tale norma, bensì ne delimita l'applicazione: l'inutilizzabilità scatta solo se lo status di indagato era già evidente al momento delle dichiarazioni, non se sopravviene in un secondo momento.
Questa posizione è in linea con precedenti conformi, inclusa una importante pronuncia delle Sezioni Unite (N. 33583 del 2015 Rv. 264482-01), che aveva già affermato la legittimità dell'utilizzazione delle dichiarazioni rese da un soggetto che, al momento dell'atto, non era ancora indagato. La giurisprudenza ha così costantemente ribadito che la "mutatio status" successiva non inficia la validità di quanto legittimamente acquisito.
La Sentenza 17164/2025 rappresenta un importante tassello nella costruzione di un diritto penale più chiaro e prevedibile. Ribadendo il principio del "tempus regit actum" e il principio di conservazione degli atti, la Corte di Cassazione offre una guida precisa sull'utilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali. Questo orientamento è fondamentale non solo per gli operatori del diritto – avvocati, magistrati e forze dell'ordine – ma anche per i cittadini, che possono così comprendere meglio i confini e le garanzie del procedimento penale. La chiarezza in queste materie è essenziale per la tutela dei diritti e per l'efficienza della giustizia.