La tutela dei minori è una priorità indiscussa nel nostro ordinamento giuridico, specialmente quando si parla di violenza domestica. I maltrattamenti in famiglia, già di per sé un reato grave, assumono una connotazione ancora più allarmante e meritevole di severa repressione quando commessi alla presenza di un minore. Su questo delicato equilibrio tra la condotta criminosa e l'impatto sui più piccoli, la Corte di Cassazione si è pronunciata con la recente sentenza n. 20128 del 22 maggio 2025 (depositata il 29 maggio 2025), offrendo un'interpretazione fondamentale che chiarisce i confini dell'aggravante prevista dall'art. 572, comma secondo, del Codice Penale.
L'articolo 572 del Codice Penale sanziona chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte. Si tratta di un reato che tutela l'integrità fisica e psichica della vittima, ma anche la serenità e l'armonia delle relazioni familiari, considerate beni giuridici primari. Il legislatore ha inteso dare un segnale forte contro ogni forma di violenza perpetrata nell'ambiente domestico, consapevole delle profonde cicatrici che essa può lasciare.
Il comma secondo dell'art. 572 c.p., come modificato dalla Legge 19 luglio 2019, n. 69 (il cosiddetto “Codice Rosso”), introduce un'aggravante specifica quando il fatto è commesso in presenza o in danno di un minore. Questa disposizione mira a rafforzare la protezione dei bambini, riconoscendo il trauma che può derivare anche dalla semplice assistenza a episodi di violenza tra adulti, oltre che dalla violenza subita direttamente. La sentenza 20128/2025 della Suprema Corte, presieduta dal Dott. G. F. e relata dalla Dott.ssa D. T., interviene proprio per definire con maggiore precisione quando tale aggravante possa ritenersi integrata, annullando con rinvio la precedente pronuncia della Corte d'Appello di Milano.
Ai fini dell'integrazione della fattispecie aggravata dei maltrattamenti commessi in presenza del minore, ai sensi dell'art. 572, comma secondo, cod. pen., non è sufficiente che il minore assista a un singolo episodio in cui si concretizza la condotta maltrattante, ma è necessario che il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico.
Questa massima della Corte di Cassazione è di cruciale importanza. Spesso, nel linguaggio comune, l'idea di “presenza” può essere intesa in modo meramente fisico e occasionale. La Cassazione, invece, eleva l'asticella, chiarendo che non basta che il minore sia fisicamente presente a un unico episodio di maltrattamento per far scattare l'aggravante. La Corte richiede un'analisi più approfondita e complessa, che tenga conto di un quadro più ampio. L'obiettivo non è punire la mera concomitanza spaziale, ma tutelare il minore dal rischio concreto di un danno al suo sviluppo psico-fisico. Questo significa che l'esposizione del bambino alla violenza deve essere sistematica, o comunque sufficientemente grave e reiterata, da generare un pericolo effettivo per la sua crescita e il suo benessere emotivo e psicologico. Non è quindi un automatismo, ma richiede una valutazione attenta del giudice sui singoli casi, come quello che ha visto coinvolto l'imputato P. P.M. R. P.
La sentenza 20128/2025 della Suprema Corte annulla con rinvio la precedente decisione, evidenziando come la Corte d'Appello di Milano non abbia adeguatamente considerato i criteri necessari per l'applicazione dell'aggravante. La Cassazione sottolinea che per la configurabilità dell'aggravante è indispensabile valutare congiuntamente:
Questi elementi devono essere tali da “lasciare inferire il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico”. Ciò implica che il giudice deve accertare non solo la presenza del minore durante gli atti violenti, ma anche la capacità di tali atti, per la loro reiterazione e gravità, di influire negativamente sulla salute mentale e sulla crescita del bambino. Questa interpretazione si pone in linea con l'evoluzione giurisprudenziale che, come dimostrato dalle massime precedenti conformi (ad esempio, n. 31929 del 2024), tende a una maggiore protezione del minore, evitando interpretazioni meramente formalistiche della norma.
La decisione della Cassazione si inserisce in un quadro normativo e culturale che vede la tutela dei minori come un valore fondamentale. A livello internazionale, la Convenzione ONU sui Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza (ratificata dall'Italia con L. 176/1991) sancisce il diritto del minore a essere protetto da ogni forma di violenza, abuso o maltrattamento. A livello nazionale, l'art. 31 della Costituzione impegna la Repubblica a proteggere l'infanzia e la gioventù. La giurisprudenza, con sentenze come la 20128/2025, si fa interprete di questi principi, cercando di tradurli in criteri applicativi che garantiscano una tutela effettiva e non solo formale.
È fondamentale che gli operatori del diritto, così come la società civile, comprendano la portata di queste decisioni. La violenza assistita è riconosciuta come una forma di maltrattamento a sé stante, con effetti devastanti sul benessere psicologico dei bambini, che possono manifestarsi in disturbi comportamentali, ansia, depressione e difficoltà relazionali. L'approccio della Cassazione, che richiede un'analisi complessiva della situazione, mira a cogliere proprio la dimensione profonda del danno subito dal minore.
La sentenza n. 20128 del 2025 della Corte di Cassazione rappresenta un importante chiarimento e un passo avanti significativo nella giurisprudenza in materia di maltrattamenti in famiglia e tutela dei minori. Essa ribadisce la necessità di un'analisi attenta e non superficiale delle dinamiche familiari violente, ponendo l'accento sul rischio effettivo di compromissione dello sviluppo psico-fisico del minore. Non è più sufficiente la semplice presenza, ma è richiesta la dimostrazione di un contesto di violenza abituale o di episodi di tale gravità e ricorrenza da minare seriamente la serenità e la crescita del bambino. Questa pronuncia rafforza l'impegno dello Stato nella protezione dei più vulnerabili, offrendo agli operatori del diritto strumenti più precisi per perseguire efficacemente i responsabili e per garantire giustizia alle vittime innocenti della violenza domestica.