Espulsione coatta e art. 3 CEDU: la Cassazione n. 15763/2025 ridefinisce i limiti al trattenimento degli stranieri

Con la pronuncia 15763/2025 la Corte di cassazione torna su un tema altamente sensibile: il confine tra esigenze di sicurezza pubblica e tutela dei diritti fondamentali dello straniero destinatario di espulsione. Il caso riguardava un cittadino pachistano ritenuto pericoloso per l’ordine pubblico per una condanna ex art. 270-bis c.p. Nonostante ciò, la Suprema Corte ha annullato con rinvio il provvedimento di trattenimento e l’espulsione coatta, richiamando i principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e la recente legge 187/2024 sul trattenimento amministrativo.

Il quadro normativo di riferimento

Il decreto-legge 145/2024, convertito dalla l. 187/2024, ha irrigidito le misure di trattenimento, ma tali norme devono essere lette insieme:

  • all’art. 3 CEDU, che vieta torture e trattamenti inumani;
  • all’art. 13 Cost., che tutela la libertà personale;
  • al d.lgs. 142/2015, che disciplina l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.

La Corte ribadisce che la garanzia convenzionale ha natura «inderogabile» (cfr. Corte EDU, Soering vs. Regno Unito), pertanto nessuna disposizione interna può legittimare un allontanamento verso Paesi non sicuri.

La massima della sentenza

In tema di trattenimento amministrativo delle persone straniere nel regime processuale conseguente al d.l. 11 ottobre 2024, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 dicembre 2024, n. 187, l'espulsione coatta costituisce violazione dell'art. 3 CEDU ogni qualvolta lo straniero, a causa del pericolo di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti che lo minacci nel Paese di origine, debba indirizzarsi verso altro Stato che lo possa ospitare, con la conseguenza che sono irrilevanti sia la gravità del reato al quale lo straniero sia stato condannato, sia la circostanza che egli non voglia rivelare il luogo della sua dimora in pendenza del procedimento, non potendo il riconoscimento della protezione internazionale fondarsi sul rispetto di un presunto vincolo fiduciario con lo Stato, né esistendo alcun obbligo di collaborazione o reciprocità a carico del richiedente asilo.

La Corte afferma che il diritto a non subire trattamenti inumani è assoluto: non può essere compresso neppure di fronte a condanne per reati di terrorismo, né può essere subordinato alla «collaborazione» dello straniero con l’autorità.

Implicazioni pratiche per difensori e Pubbliche Amministrazioni

La decisione offre alcuni punti fermi:

  • Centralità del rischio individuale: l’esame giudiziario deve appurare la situazione nel Paese d’origine, anche attingendo a COI, rapporti ONU e EASO.
  • Irrilevanza della pericolosità penale: la Commissione territoriale o il giudice non possono negare protezione perché l’interessato è stato condannato.
  • Nessun onere di reperibilità: l’irreperibilità non integra causa ostativa alla protezione, in linea con Cass. 21667/2013.
  • Obblighi per le Questure: prima di disporre l’espulsione occorre verificare ex art. 14, co. 1, d.lgs. 286/1998 la possibilità di accoglienza in un «Paese terzo sicuro».

Il difensore potrà, quindi, impugnare i decreti di trattenimento richiamando direttamente art. 3 CEDU e la giurisprudenza di legittimità; la P.A. dovrà adeguare le prassi, evitando automatismi fondati sui precedenti penali.

Conclusioni

La sentenza n. 15763/2025 conferma la linea della Corte di cassazione: la tutela assoluta contro torture e trattamenti disumani prevale su ogni valutazione di sicurezza interna. Per gli operatori del diritto, è un richiamo alla necessità di argomentare sempre sul rischio effettivo per lo straniero e di vigilare sulla compatibilità delle norme interne con la CEDU. Per l’amministrazione, implica l’obbligo di un accertamento sostanziale e non meramente formale prima di procedere all’espulsione coatta.

Studio Legale Bianucci