La Prima Sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 14346 depositata l’11 aprile 2025, interviene ancora una volta sul delicato equilibrio tra prevenzione e garanzie individuali. La pronuncia, destinata a incidere profondamente sulla prassi dei tribunali di sorveglianza, ha annullato senza rinvio la condanna inflitta a I. P. per la violazione delle prescrizioni della sorveglianza speciale, ravvisando la carenza di un presupposto essenziale della misura: la rivalutazione ex post della pericolosità sociale, imposta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 162/2024.
Il d.lgs. 159/2011 (Codice antimafia) disciplina le misure di prevenzione personali, tra cui la sorveglianza speciale (art. 14). L’art. 75, invece, incrimina la condotta di chi viola le prescrizioni impostegli. Dopo la riforma costituzionale del 2024, la Consulta ha imposto che, una volta sospesa la misura in ragione di sopravvenuta detenzione, il suo eventuale ripristino debba essere preceduto da un vaglio sulla persistenza dell’attualità della pericolosità, senza più la soglia dei due anni di detenzione continuativa precedentemente ritenuta dirimente.
In tema di misure di prevenzione, il ripristino della misura sospesa per la sopravvenuta detenzione del sorvegliato presuppone, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2024, che attualità e persistenza della pericolosità sociale siano rivalutate anche nel caso in cui la detenzione si sia protratta per meno di due anni, sicché, quando non vi si provveda, la mancanza di una condizione di efficacia della misura di prevenzione preclude la configurabilità, a carico di colui che ne abbia violato le prescrizioni, del reato di cui all'art. 75 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.La Corte sottolinea che la sorveglianza speciale non può funzionare con il “pilota automatico”: serve un aggiornamento costante del giudizio di pericolosità. In assenza di tale verifica, qualsiasi violazione delle prescrizioni non integra il reato, mancando il presupposto della legittimità della misura. È un richiamo forte ai giudici di merito a non trascurare l’incidenza rieducativa della detenzione, neppure se breve.
La decisione impone un cambio di prospettiva a chi opera nel settore:
La Cassazione prosegue il solco tracciato dalle pronunce nn. 23926/2023 e 29379/2024, ma ne amplia l’ambito, facendo cadere il limite temporale di due anni. Si rafforza così l’orientamento che coniuga tutela della collettività e rispetto dell’art. 13 Cost. e dell’art. 5 CEDU, scongiurando applicazioni automatiche delle misure restrittive.
La sentenza n. 14346/2025 rappresenta un decisivo passo avanti verso un sistema di prevenzione più aderente ai principi di legalità e proporzionalità. Per gli operatori del diritto, si apre uno spazio processuale nuovo in cui contestare l’efficacia delle misure ripristinate senza adeguata istruttoria. Per i soggetti sottoposti, significa poter contare su un monitoraggio meno formale e più attento alla loro reale evoluzione. È un segnale forte: la prevenzione resta essenziale, ma non può prescindere dal rispetto delle garanzie fondamentali.