La giustizia riparativa rappresenta uno dei pilastri della recente riforma del processo penale, introdotta con il Decreto Legislativo n. 150 del 2022, meglio conosciuta come Riforma Cartabia. Questo approccio innovativo mira a coinvolgere la vittima e l'autore del reato in un percorso di dialogo e risanamento, superando la logica meramente punitiva per focalizzarsi sulla riparazione del danno e sulla ricomposizione del conflitto sociale. Tuttavia, come ogni novità normativa, anche l'implementazione della giustizia riparativa solleva questioni interpretative complesse, soprattutto in merito ai profili processuali. Una di queste è stata recentemente affrontata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19339 del 2025 (Presidente: G. Santalucia, Estensore: G. Poscia), che ha chiarito le condizioni di impugnabilità dell'ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa. Un tema di grande rilevanza per gli operatori del diritto e per chiunque sia coinvolto in un procedimento penale.
L'introduzione della giustizia riparativa nel nostro ordinamento è stata una risposta alle raccomandazioni europee e a una crescente sensibilità verso modelli di giustizia che privilegiano la composizione extra-processuale dei conflitti. L'articolo 129-bis del Codice di Procedura Penale, introdotto dalla Riforma Cartabia, disciplina l'accesso ai programmi di giustizia riparativa, prevedendo che il giudice possa, in ogni stato e grado del procedimento, invitare le parti a partecipare a tali percorsi. L'obiettivo è offrire alle persone offese e agli autori di reato la possibilità di confrontarsi e trovare soluzioni riparative, che possono andare dal risarcimento del danno alla riabilitazione sociale. La richiesta di accesso a questi programmi può essere avanzata dall'imputato, dalla persona offesa o dal pubblico ministero.
La questione centrale affrontata dalla Suprema Corte riguardava la possibilità di impugnare l'ordinanza con cui il giudice rigetta la richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa. L'imputato B. P. M. aveva presentato ricorso contro una decisione della Corte d'Assise d'Appello di Milano, che aveva dichiarato inammissibile il suo ricorso. La Cassazione, con la sentenza n. 19339 del 2025, ha fornito un'interpretazione cruciale, stabilendo principi chiari. Ecco la massima:
L'ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa non ha natura processuale, e può essere impugnata, ai sensi dell'art. 586, comma 1, cod. proc. pen., congiuntamente alla sentenza, a condizione che la richiesta risulti avanzata dall'imputato e riguardi reati procedibili a querela suscettibile di remissione, trattandosi del solo caso in cui il suo eventuale accoglimento determina la sospensione del processo.
Questa pronuncia è di fondamentale importanza perché chiarisce la natura giuridica dell'ordinanza di rigetto. La Corte esclude che essa abbia una "natura processuale" autonoma, tale da renderla immediatamente impugnabile. Ciò significa che non è possibile presentare un ricorso immediato contro il diniego del giudice di ammettere l'imputato a un percorso di giustizia riparativa. L'impugnazione è ammessa solo in un momento successivo e a determinate condizioni.
Le condizioni per l'impugnazione, come delineate dalla Suprema Corte, sono stringenti:
Il ragionamento della Corte si basa sul fatto che solo in questi specifici casi (reati a querela remissibile) l'eventuale accoglimento della richiesta di giustizia riparativa avrebbe come conseguenza la sospensione del processo. In tutti gli altri casi, infatti, l'esito del percorso riparativo non avrebbe un impatto diretto e sospensivo sul procedimento penale, e quindi l'ordinanza di rigetto non rivestirebbe quella "incidenza decisoria" che ne giustificherebbe un'impugnazione immediata o incondizionata.
Questa sentenza introduce una chiarezza necessaria in un ambito ancora in evoluzione. Per gli avvocati difensori, è fondamentale comprendere che la strada dell'impugnazione dell'ordinanza di rigetto non è sempre percorribile immediatamente. È necessario valutare attentamente la natura del reato e l'impatto che l'accoglimento della richiesta avrebbe avuto sul processo. La decisione della Cassazione, richiamando anche precedenti conformi (come la N. 7266 del 2025 e la N. 33152 del 2024) e confrontandosi con orientamenti difformi (N. 14338 del 2025 e N. 131 del 2025), consolida un'interpretazione restrittiva dell'impugnabilità, in linea con il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione (art. 568, comma 1, c.p.p.). Questo orientamento mira a evitare ricorsi dilatori e a garantire la speditezza del processo, pur salvaguardando il diritto dell'imputato di far valere le proprie ragioni nei modi e nei tempi stabiliti dalla legge. La giustizia riparativa, sebbene preziosa, deve inserirsi armonicamente nel sistema processuale penale, senza creare ingiustificate frammentazioni o ritardi.
La sentenza n. 19339 del 2025 della Corte di Cassazione rappresenta un punto fermo nell'interpretazione delle norme relative alla giustizia riparativa. Essa ribadisce l'importanza di un'attenta valutazione delle condizioni processuali per l'impugnazione, limitando la possibilità di ricorrere contro il rigetto della richiesta di accesso ai programmi riparativi ai soli casi in cui l'accoglimento avrebbe determinato la sospensione del processo, ovvero per i reati a querela remissibile e su richiesta dell'imputato. Questa pronuncia contribuisce a definire i contorni di un istituto ancora giovane, garantendo certezza del diritto e promuovendo un'applicazione coerente ed efficace della giustizia riparativa nel panorama giudiziario italiano.