Nel panorama del diritto internazionale e costituzionale, l'estradizione rappresenta uno degli strumenti più complessi e delicati a disposizione degli Stati per garantire la giustizia e prevenire l'impunità. Si tratta del processo attraverso il quale un individuo, accusato o condannato per un reato in un paese, viene consegnato da un altro paese affinché possa essere sottoposto a processo o scontare la pena. La recente Sentenza n. 20133, depositata il 29 maggio 2025, della Corte di Cassazione (Presidente D. A. G., Estensore A. R.) offre un chiarimento fondamentale su un aspetto cruciale di tale procedura: la facoltà di rifiutare l'estradizione del cittadino italiano.
L'Italia, come molti altri Stati, bilancia la necessità di cooperare con la comunità internazionale nella lotta al crimine con la tutela dei propri cittadini. La nostra Costituzione, all'articolo 26, stabilisce principi cardine in materia di estradizione, in particolare escludendo l'estradizione per reati politici e prevedendo che il cittadino possa essere estradato solo nei casi previsti dalle convenzioni internazionali. Questo principio fondamentale è stato oggetto di interpretazione e applicazione nel corso degli anni, delineando i confini di competenza tra i diversi poteri dello Stato.
La Sentenza 20133/2025 interviene proprio in questo contesto, affrontando un caso specifico che ha visto coinvolto l'imputato G. P.M. A. F. e l'annullamento con rinvio di una decisione della Corte d'Appello di Roma del 4 febbraio 2025. La pronuncia della Suprema Corte chiarisce inequivocabilmente chi detiene il potere decisionale finale nel rifiutare l'estradizione di un cittadino italiano, specie quando la richiesta si fonda su trattati internazionali, come quello tra Italia e Cile, ratificato con la legge 3 novembre 2016, n. 211.
La facoltà di rifiutare l'estradizione del cittadino italiano può essere esercitata esclusivamente dal Ministro della Giustizia, trattandosi di una valutazione discrezionale demandata all'organo di governo e sottratta alla deliberazione dell'autorità giudiziaria. (Fattispecie in tema di estradizione richiesta sulla base del Trattato fra Italia e Cile, ratificato con legge 3 novembre 2016, n. 211).
Questa massima è di straordinaria importanza. Essa ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza italiana, già espresso in precedenti conformi (ad esempio, Sentenza n. 43170 del 2014), che assegna al Ministro della Giustizia un ruolo esclusivo e insostituibile. Ciò significa che, pur in presenza di tutti i presupposti giuridici per l'estradizione accertati dall'autorità giudiziaria, la decisione finale di concederla o meno, in particolare per i cittadini italiani, spetta a un organo politico del Governo. Non si tratta di una mera formalità, bensì di una valutazione di natura discrezionale, che tiene conto non solo degli aspetti strettamente legali ma anche di considerazioni di politica estera, opportunità e, più in generale, degli interessi dello Stato.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha costantemente confermato questa linea, come dimostrano i riferimenti a massime precedenti (ad es., N. 46912 del 2019, N. 3921 del 2016, N. 28032 del 2021), consolidando il principio secondo cui la scelta finale di rifiutare l'estradizione del cittadino spetta all'esecutivo.
La Sentenza n. 20133/2025 della Corte di Cassazione non solo riafferma un principio fondamentale del nostro ordinamento in materia di estradizione, ma sottolinea l'importanza di una chiara distinzione tra le competenze del potere giudiziario e quelle del potere esecutivo. L'estradizione del cittadino italiano, pur essendo un meccanismo volto a garantire la giustizia transnazionale, rimane saldamente ancorata a un processo decisionale che culmina nella valutazione discrezionale del Ministro della Giustizia. Questa pronuncia offre certezza giuridica e ribadisce la complessità di una materia che richiede un'attenta analisi di tutti gli aspetti, legali, costituzionali e politici, per assicurare la piena tutela dei diritti e la corretta applicazione delle norme internazionali.