Con la sentenza n. 16386 depositata il 30 aprile 2025, la Prima Sezione penale della Corte di cassazione interviene su un tema di grande attualità: la necessità (o meno) di tradurre nella lingua dello straniero il provvedimento di convalida o proroga del trattenimento previsto dal d.l. 145/2024, convertito in legge 187/2024. Il caso riguardava S. P. M., cittadino extracomunitario, che lamentava la violazione del proprio diritto di difesa per mancata traduzione dell’atto. La Suprema Corte ha però confermato la decisione della Corte d’appello di Cagliari, rigettando il ricorso.
L’art. 14, comma 6, T.U. Immigrazione (d.lgs. 286/1998) regola il trattenimento nei Centri di permanenza per il rimpatrio. Il recente d.l. 145/2024 ha introdotto un regime procedurale più stringente, ma non ha esplicitato l’obbligo di traduzione della convalida o della proroga nella lingua a lui nota. Il ricorrente, richiamando il mandato d’arresto europeo (legge 69/2005), ha prospettato un dubbio di legittimità costituzionale—per lesione degli artt. 13, 24 e 111 Cost.—nonché di compatibilità con l’art. 5 CEDU. La Corte ha ritenuto la questione «irrilevante». Vediamo perché.
In tema di trattenimento amministrativo delle persone straniere nel regime processuale conseguente al d.l. 11 ottobre 2024, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 dicembre 2024, n. 187, l'omessa traduzione, nella lingua dello straniero alloglotto trattenuto, del provvedimento di convalida o proroga della misura non integra di per sé causa di nullità, in mancanza di elementi specifici indicativi di un pregiudizio in ordine alla completa esplicazione del diritto di difesa, non essendo in ogni caso consentito alla parte di proporre ricorso per cassazione personalmente ed essendole riconosciuto, anche senza oneri personali ove sussistano i presupposti del patrocinio a spese dello Stato, la facoltà di avvalersi di un interprete di fiducia per la traduzione dell'atto, con eventuale differimento del relativo termine per l'impugnazione.
La massima, se letta con attenzione, poggia su due capisaldi: assenza di lesione concreta del diritto di difesa e disponibilità di strumenti di tutela (difensore/ interprete) già previsti dall’ordinamento.
La Cassazione valorizza gli artt. 143, 178, 606 e 613 c.p.p.: la nullità derivante da difetto di traduzione è «relativa» e richiede la prova del pregiudizio. Nel trattenimento amministrativo, l’impugnazione avviene esclusivamente tramite difensore, sicché lo straniero può:
Mancando la proposizione personale del ricorso, la Corte esclude un automatismo invalidante: spetta alla difesa dimostrare che la mancata traduzione abbia impedito di articolare doglianze specifiche.
La pronuncia offre indicazioni utili:
Si tratta di un equilibrio fra efficienza amministrativa e tutela dei diritti fondamentali, in linea con la giurisprudenza CEDU (cause Husayn v. Polonia e Shamayev v. Georgia). La Cassazione richiama l’art. 117 Cost., imponendo comunque un’interpretazione conforme ai principi sovranazionali.
La sentenza n. 16386/2025 non nega il valore della traduzione degli atti: ne relativizza però l’incidenza processuale, subordinandola al «pregiudizio concreto». Per i professionisti ciò significa rafforzare l’attività difensiva sin dalla fase di convalida, mentre per il legislatore resta aperta la sfida di coniugare sicurezza pubblica e garanzie individuali, magari recependo esplicitamente l’obbligo di traduzione, come già avviene in materia di mandato d’arresto europeo. Nel frattempo, la strada maestra resta quella indicata dalla Corte: garantire un interprete e un difensore efficaci, perché il diritto di difesa non può conoscere barriere linguistiche.