Nel panorama giuridico italiano, la tutela del diritto d'autore rappresenta un pilastro fondamentale per la protezione delle opere dell'ingegno. Tuttavia, l'applicazione di tali principi in contesti pratici, specialmente in ambienti commerciali come i locali pubblici, può generare non poche incertezze. La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 30279 del 27 giugno 2025 (depositata il 4 settembre 2025), interviene con una pronuncia di particolare rilevanza, offrendo chiarimenti essenziali sulla configurabilità del reato di violazione del diritto d'autore in caso di diffusione di eventi sportivi con abbonamento privato in un esercizio pubblico. Questa decisione, che annulla con rinvio la sentenza della Corte d'Appello di Reggio Calabria del 13 febbraio 2025, si concentra in particolare sul concetto di "fine di lucro", elemento cruciale per la qualificazione del delitto.
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava l'imputato A. D., accusato di aver diffuso in un locale pubblico un evento sportivo trasmesso da una piattaforma a pagamento per il digitale terrestre, utilizzando un contratto di tipo domestico. La questione centrale era se tale condotta integrasse il delitto previsto dall'articolo 171-ter, comma 1, lettera e), della Legge 22 aprile 1941, n. 633, la cosiddetta Legge sul Diritto d'Autore. Questa norma sanziona chiunque, a fini di lucro, comunica al pubblico o mette a disposizione del pubblico opere protette, senza averne il diritto. La complessità risiede spesso nel definire cosa si intenda esattamente per "fine di lucro" in situazioni in cui non vi è un pagamento diretto per la visione dell'evento.
La giurisprudenza, come evidenziato dalle "Massime precedenti Difformi" citate nella sentenza (N. 13812 del 2008, N. 8073 del 2007, N. 31579 del 2002), non ha sempre avuto un orientamento univoco su questo punto, rendendo la pronuncia della Cassazione ancora più significativa per gli operatori del diritto e per gli esercenti.
In tema di tutela del diritto d'autore, la configurabilità del delitto di cui all'art. 171-ter, comma 1, lett. e), legge 22 aprile 1941, n. 633, per il caso di diffusione, in un locale pubblico, di evento sportivo trasmesso dalla piattaforma a pagamento per il digitale terrestre mediante l'utilizzo di un contratto di tipo domestico, postula la dimostrazione del fine di lucro, ravvisabile nell'intento di far confluire nel locale un maggior numero di clienti, in ragione della fruizione gratuita del servizio.<
La massima della Sentenza n. 30279/2025, presieduta dal Dott. A. A. e con relatore ed estensore Dott.ssa U. M., chiarisce in modo inequivocabile che il "fine di lucro" non si identifica necessariamente con un incasso diretto derivante dalla visione dell'evento. Al contrario, esso è ravvisabile nell'intento di attrarre un maggior numero di clienti nel proprio locale, offrendo loro la fruizione gratuita del servizio. Questo significa che l'esercente che utilizza un abbonamento destinato all'uso privato per proiettare una partita o un altro evento sportivo nel proprio bar o ristorante, con l'obiettivo di aumentare l'afflusso di avventori e, di conseguenza, le proprie vendite (ad esempio di bevande e cibi), agisce con "fine di lucro". Non è richiesto che il cliente paghi un biglietto per vedere l'evento; basta che la trasmissione serva da richiamo commerciale.
Questa pronuncia ha importanti ricadute pratiche per tutti i gestori di locali pubblici che intendono offrire ai propri clienti la visione di eventi sportivi o altri contenuti protetti da diritto d'autore. È fondamentale comprendere che l'utilizzo di un abbonamento "domestico" o "privato" in un contesto commerciale è illegittimo e può configurare un reato penale, con conseguenze severe. La distinzione tra un abbonamento per uso privato e uno per uso commerciale non è un mero tecnicismo, ma riflette la diversa licenza d'uso concessa dal titolare del diritto d'autore.
Per evitare di incorrere in sanzioni, gli esercenti devono assicurarsi di possedere gli abbonamenti specifici per attività commerciali, che prevedono condizioni e costi differenti proprio in virtù della "pubblica diffusione" del contenuto. La dimostrazione del "fine di lucro" è a carico dell'accusa, ma la giurisprudenza, con questa sentenza, fornisce un chiaro orientamento su come tale elemento possa essere provato, ovvero attraverso la mera intenzione di incrementare la clientela grazie all'offerta del servizio.
La Sentenza n. 30279/2025 della Corte di Cassazione rappresenta un monito importante per tutti gli operatori economici e un chiarimento essenziale nell'ambito del diritto d'autore. Essa sottolinea l'importanza di rispettare le licenze d'uso e di comprendere le implicazioni legali dell'utilizzo di contenuti protetti in contesti commerciali. Il "fine di lucro" viene interpretato in senso ampio, includendo qualsiasi vantaggio commerciale indiretto derivante dalla messa a disposizione gratuita di un servizio protetto.
Per gli esercenti, la prevenzione è la migliore strategia: informarsi correttamente e sottoscrivere abbonamenti adeguati all'uso pubblico è l'unico modo per evitare contenziosi legali e sanzioni penali. Per i professionisti del diritto, questa sentenza offre un prezioso strumento interpretativo per guidare i propri assistiti attraverso le complessità della tutela della proprietà intellettuale, un campo in continua evoluzione e di crescente importanza nell'economia digitale.