Diritto Penale
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La revisione, disciplinata dagli artt. 629 e ss. del Codice di Procedura Penale, è un mezzo di impugnazione cosiddetto “straordinario”, in quanto – differentemente dai mezzi di impugnazione ordinari quali l’appello e il ricorso per cassazione – può essere azionato dal soggetto interessato senza limiti di tempo, a decisione ormai divenuta irrevocabile.
Il carattere straordinario di tali mezzi di impugnazione deriva proprio dal fatto che essi hanno ad oggetto decisioni ormai divenute intangibili, in quanto passate in giudicato.
Com’è immaginabile, l’eccezionalità di tali strumenti giuridici richiede necessariamente che essi possano essere esperiti soltanto in casi tassativi, specificamente identificati dal Legislatore.
Per ciò che attiene alla revisione, l’art. 630 C.p.p. sancisce che essa può essere azionata dall’interessato (come vedremo in seguito, non soltanto dal condannato!) nei seguenti casi: a) contrasto tra giudicati: b) sentenza o decreto penale di condanna hanno ritenuto sussistente un reato sulla base di una sentenza civile o amministrativa, poi revocata; c) sopravvenienza o scoperta di prove nuove dopo la condanna, alla luce delle quali il condannato deve essere prosciolto; d) dimostrazione del fatto che la sentenza di condanna è stata pronunciata in conseguenza di falsità di atti o in giudizio o in conseguenza di un altro fatto previsto dalla legge come reato.
Quanto al caso di cui alla precedente lettera d), la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di chiarire in più occasioni che per contrasto tra giudicati, legittimante la revisione della sentenza rispetto alla quale si agisce, non si deve intendere una contraddittorietà logica tra le valutazioni dei fatti operate nelle decisioni, bensì uno stato di oggettiva incompatibilità tra i fatti su cui si fondano le decisioni.
In altri termini, deve trattarsi di sentenze oggettivamente incompatibili dal punto di vista del fatto storico che ne sta alla base, e non della diversa valutazione di quest’ultimo.
In caso contrario, qualora fosse sufficiente una mera incompatibilità logica tra valutazioni, è evidente che la revisione assumerebbe paradossalmente i connotati di un vero e proprio mezzo di impugnazione ordinaria, esperibile al di fuori dei termini ordinari.
Come anticipato, non soltanto il soggetto condannato è legittimato ad esperire la revisione nei casi di cui all’art. 630 C.p.p., ma lo sono anche i suoi prossimi congiunti, chi rispetto al condannato ha una posizione di autorità tutoria, o ancora il suo erede, in caso di morte del condannato. Infine, legittimato è anche il procuratore generale presso la corte d’appello nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza di condanna.