Nel panorama giuridico italiano, le dinamiche delle impugnazioni penali sono costantemente oggetto di interpretazione e adeguamento, specialmente alla luce delle recenti riforme. Una delle questioni più dibattute riguarda l'ambito di applicabilità dell'appello, un mezzo di impugnazione fondamentale per garantire il doppio grado di giudizio. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17277 del 06/05/2025, ha fornito un chiarimento essenziale in merito all'inappellabilità delle sentenze di condanna che infliggono la pena dell'ammenda, anche quando questa sostituisce la pena detentiva dell'arresto. Questa pronuncia, che ha visto come Presidente il Dott. M. A. e come Estensore la Dott.ssa C. G., si inserisce nel solco delle modifiche introdotte dalla Riforma Cartabia, offrendo spunti di riflessione cruciali per professionisti e cittadini.
Il Decreto Legislativo 22 ottobre 2022, n. 150, meglio noto come Riforma Cartabia, ha apportato significative modifiche al codice di procedura penale, con l'obiettivo primario di deflazionare il carico giudiziario e velocizzare i tempi della giustizia. Tra le varie innovazioni, spicca la revisione dell'articolo 593, comma 3, c.p.p., ad opera dell'articolo 34, comma 1, lettera a), del suddetto decreto. Questa modifica ha avuto un impatto diretto sulla possibilità di proporre appello contro determinate sentenze di condanna. In particolare, la riforma ha inteso limitare l'accesso al gravame per le condanne meno gravi, introducendo un criterio basato sulla tipologia e sull'entità della pena inflitta.
La logica sottostante è quella di riservare il gravame dell'appello a fattispecie di maggiore gravità, convogliando le controversie minori verso percorsi processuali più snelli o definizioni in primo grado. Questo bilanciamento tra efficienza processuale e garanzia del diritto di difesa è al centro di molteplici dibattioni giuridici e ha richiesto un'attenta interpretazione da parte della giurisprudenza.
In tema impugnazioni, è inappellabile la sentenza di condanna con cui è inflitta la pena dell'ammenda, anche se in sostituzione, in tutto o in parte, di quella dell'arresto, in ragione del disposto dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come novellato dall'art. 34, comma 1, lett. a), d.lgs. 22 ottobre 2022, n. 150, e della contestuale introduzione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui agli artt. 20-bis cod. pen. e 53 e ss. legge 24 novembre 1981, n. 689.
Questa massima della Corte di Cassazione sintetizza il principio cardine della decisione. La sentenza afferma chiaramente che una condanna che preveda l'ammenda, ovvero una pena pecuniaria, non è suscettibile di appello. La portata innovativa e talvolta controintuitiva di questa statuizione risiede nel fatto che l'inappellabilità si estende anche ai casi in cui l'ammenda sia stata irrogata in sostituzione, totale o parziale, della pena dell'arresto. Tradizionalmente, la pena dell'arresto, pur essendo una pena detentiva breve, apriva le porte all'appello. Tuttavia, con l'introduzione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi (come previsto dagli artt. 20-bis del codice penale e 53 e seguenti della legge n. 689 del 1981), il legislatore ha creato un nuovo assetto.
La ragione di questa scelta risiede nell'intento di dare piena attuazione alla Riforma Cartabia, che ha potenziato il sistema delle pene sostitutive non detentive, considerandole una risposta più efficace e meno afflittiva per reati di minore gravità. Se l'ammenda, anche quando sostitutiva dell'arresto, fosse appellabile, si vanificherebbe in parte l'obiettivo di snellimento processuale per le condanne di minor impatto.
Per l'imputato S. P., condannato dal Tribunale di Bologna il 23/02/2024, la pronuncia della Cassazione ha avuto come effetto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Questo significa che, in casi analoghi, la parte condannata all'ammenda, anche se sostitutiva, non potrà appellare la sentenza di primo grado, ma dovrà eventualmente ricorrere direttamente in Cassazione per questioni di legittimità. Questo scenario impone una maggiore attenzione nella fase del giudizio di primo grado, poiché le possibilità di rimettere in discussione la decisione in un secondo grado di merito sono precluse.
I riferimenti normativi chiave di questa pronuncia sono molteplici e interconnessi:
Questi articoli lavorano in sinergia per delineare un quadro in cui la pena pecuniaria, pur potendo sostituire una pena detentiva, mantiene la sua natura di sanzione minore e, di conseguenza, il regime processuale di inappellabilità previsto per le condanne meno gravi.
La sentenza n. 17277 del 2025 della Corte di Cassazione rappresenta un punto fermo nell'interpretazione delle norme sulle impugnazioni penali post-Riforma Cartabia. Essa ribadisce con forza l'orientamento volto a razionalizzare i gradi di giudizio, limitando l'appello per le condanne all'ammenda, anche se irrogate in sostituzione dell'arresto. Questa decisione ha un impatto significativo sulla strategia difensiva e sulla valutazione dei rischi processuali, rendendo ancora più cruciale un'accurata preparazione del giudizio di primo grado. Per i cittadini e gli operatori del diritto, è fondamentale comprendere appieno queste dinamiche per navigare con consapevolezza nel sistema della giustizia penale italiana, che continua a evolversi verso modelli di maggiore efficienza senza trascurare le garanzie fondamentali.